Geisha in Giappone: storia, curiosità e segreti del mondo fluttuante

Oltre il mito della prostituzione: la Geisha artista, custode dell’eleganza e simbolo della tradizione giapponese

Quando i viaggiatori si imbattono per la prima volta nel misterioso fascino del passato giapponese, uno degli aspetti più fraintesi è il ruolo delle donne nell’ambito dell’intrattenimento e dell’intimità. L'Occidente ha spesso confuso il confine tra la prostituzione e la raffinata arte delle geisha, che in realtà appartengono a mondi profondamente diversi.

Il periodo Kamakura (1185-1133)

Durante l’Età d’Oro dei samurai, il periodo Kamakura, le prostitute erano le compagne di svago dei nobili Heian. Le ragazze venivano istruite in molte arti, non solo in quelle erotiche, per servire la classe guerriera e intrattenere i clienti. Si potrebbe dire che fin dall’inizio teatro e prostituzione fossero strettamente legati.

Il decreto di Hideyoshi: la nascita del “Mondo Fluttuante” Ukiyo

Nel periodo Edo (1603–1868), il Giappone vide l’ascesa dello ukiyo—il “mondo fluttuante”—quartieri urbani dedicati al piacere, al tempo libero e all’arte. In questi quartieri fiorivano i teatri Kabuki, le case da tè, i salotti e i bordelli autorizzati. La prostituzione era strettamente regolamentata e confinata in luoghi come Yoshiwara a Edo (l’odierna Tokyo). Da questo sistema emerse una cultura distintiva, che richiamava l’eleganza della tradizione Heian: sesso e desiderio venivano reinterpretati come corteggiamento raffinato, un gioco di ingegno e seduzione tra uomini e cortigiane di alto rango.

Era un mondo strettamente gerarchico. In cima stavano le oiran, cortigiane pagate profumatamente, eleganti e prestigiose; in fondo, le jorō, prostitute comuni esposte dietro barre di legno nelle vetrine, o le yuna, che vendevano il loro corpo nella foschia calda dei bagni pubblici.
Tra le oiran, le più altolocate erano le tayū, non solo cortigiane, ma artiste a pieno titolo, celebrate tanto per la loro arte quanto per la loro bellezza. Queste donne erano ammirate come attrici, incarnazioni idealizzate della femminilità che spesso prendevano i nomi di nobildonne del passato. La formazione di una tayū era rigorosa: poesia, calligrafia, danza e musica facevano parte del suo repertorio. I clienti venivano intrattenuti non attraverso un banale rapporto carnale, ma tramite performance di corteggiamento altamente ritualizzate.
Il loro aspetto era inconfondibile: strati di kimono stravaganti, il volto truccato con il bianco iconico della bellezza classica, e una larga fascia obi legata davanti, segno distintivo della sua professione. Erano allo stesso tempo oggetto del desiderio e icone culturali, opere d’arte viventi, sospese tra l'essere ammirate come dive, e la mercificazione del proprio corpo. Insomma, rappresentavano eleganza ma anche costrizione.

“Se il Kabuki (teatro) era inaspettatamente erotico, il bordello poteva essere descritto come un teatro dell’amore, dove ragazze di campagna si mascheravano da bellezze sofisticate e mercanti umili assumevano l’aria di uomini d’affari.”
— Donald Shively

tayū in attesa

La Geisha non era una prostituta, ma un simbolo di estetica.

All’inizio del '700 emersero le geisha, non come cortigiane nei bordelli, ma come artiste del palcoscenico, capaci di incantare il pubblico con musica e canto. A differenza delle loro controparti, il mondo delle geisha non aveva nulla a che fare con il sesso; varcare quella linea avrebbe minacciato l’equilibrio delicato del dominio delle oiran.
Invece tracciarono un percorso diverso, misurato non dal commercio, ma dall’arte: la sottile padronanza della musica, la poesia della danza, l’eleganza della conversazione e la grazia silenziosa trasformava ogni stanza in cui entravano.

Karyūkai, il “mondo del fiore e del salice”.

Il percorso di una geisha iniziava quasi dall’infanzia. Alcune ragazze nascevano in una okiya, mentre altre vi arrivavano perché la povertà non lasciava scelta ai loro genitori. Già a sei anni entravano in questo mondo chiuso, dove un’okaasan (“madre”) e un’onesan (“sorella maggiore,” una geisha esperta) guidavano ogni loro passo.
Come maiko, apprendiste, imparavano a danzare, suonare, parlare con grazia e muoversi con eleganza. Ogni gesto era una lezione, ogni momento una prova per una vita dedicata all’arte. Il costo di tale formazione era immenso. Kimono elaborati, acconciature intricate, lunghi anni di istruzione, tutto creava un debito che gravava sulle loro spalle, ripagato lentamente una volta iniziate le attività lavorative, con i guadagni condivisi con la casa che le aveva cresciute.
A Kyoto erano chiamate geiko, e le loro vite si svolgevano nei hanamachi, i “quartieri dei fiori”, dove arte e rituale fiorivano dopo il calar della notte. Insieme questi distretti formavano il karyūkai, il “mondo del fiore e del salice.”


Il Malinteso dietro la parola "Geisha"

Le geisha, a differenza delle tayū, non furono mai cortigiane. Comparvero leggermente più tardi ed ebbero un ruolo strettamente artistico. L’arte della geisha era la performance: danza, musica, conversazione ed eleganza. A differenza delle tayū, non erano destinate ad intraprendere intercorsi sessuali. Eppure i due mondi si sovrapponevano. Entrambe vivevano negli stessi quartieri, si esibivano nelle stesse case da tè e indossavano kimono sontuosi. All’occhio inesperto, la distinzione era quasi impossibile da notare.
Col tempo, tuttavia, le geisha guadagnarono prestigio come custodi della raffinatezza e della tradizione, mentre le tayū scomparvero gradualmente entro il XVIII secolo.
Resta, però, una certa confusione causata dalla sfumatura così sottile tra queste due figure, dall' interpretazioni errata occidentale, e soprattutto dalla pratica del mizuage. Per alcune maiko, questo rituale di passaggio segnava l’ingresso nell’età adulta. In certi periodi e quartieri, tuttavia, divenne una vera e propria vendita della verginità, con ricchi clienti che pagavano somme ingenti per avere quest' “onore”. Non tutte le geisha subirono questa pratica, eppure pettegolezzi e dicerie furono sufficienti a suscitare scandalo e a consolidare il fraintendimento della loro professione.

Geisha con la sua apprendista maiko
Donna vestita come una maiko

Quando il Giappone si aprì al mondo nel XIX secolo, i visitatori stranieri si trovarono di fronte a questa realtà complessa senza avere alcun contesto. Scrittori e viaggiatori spesso descrivevano le geisha come «cortigiane», incapaci o poco disposti a cogliere le sottili differenze del mondo fluttuante. L’immagine si distorse ulteriormente durante l’occupazione americana dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando le prostitute che servivano i soldati cominciarono a chiamarsi «geisha girls». A quel punto lo stereotipo si era già radicato profondamente.

Geisha oggi

La verità è più delicata e complessa. Le geisha erano, e rimangono, artiste: donne di disciplina ed eleganza, custodi di un patrimonio culturale che valorizzava la raffinatezza più della seduzione. Le geisha esistono ancora oggi, sebbene siano molte meno le giovani donne che scelgono, o riescono a sopportare, le difficoltà della vita che le aspetta. Inoltre, il geisha asobi, l’esperienza del “giocare con le geisha”, è diventato un passatempo costoso, e molti clienti moderni non comprendono più le regole di questa sottile e altamente codificata arte dell’intrattenimento.


In definitiva, ciò che nacque come riflesso teatralizzato della vita aristocratica, in particolare dei rituali dell’amore e della cortesia, nel tempo è diventato teatro nel senso più puro. Oggi, le esibizioni delle geisha sono spesso ridotte a intrattenimento stilizzato, pensato per i turisti in cerca di uno scorcio esotico del “Giappone antico”.
Proprio come il Kabuki, le geisha perdurano come simboli e memorie viventi di una tradizione, in cui affondano le radici molti degli ideali estetici giapponesi: moderazione, eleganza e raffinatezza. Tuttavia, queste esibizioni accuratamente preservate, un tempo essenza stessa della sofisticazione culturale, sono state anche assorbite nelle correnti del consumismo moderno, il cosiddetto “business dell’acqua” (mizu shōbai).
Le geisha rimangono, dunque, sospese tra passato e presente, allo stesso tempo custodi della bellezza e reliquie di un mondo trasformato.

Una geisha che prepara il suo abbigliamento e il trucco
Ragazza che posa in abiti tradizionali

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